L'intervento di Monsignor Ennio Apeciti

Ringrazierò sempre il mio vecchio parroco, di quando ero ancora piccolo chierichetto, perché volle che imparassimo a memoria la Messa in latino, come si usava allora, ma ce la tradusse in italiano, perché voleva che capissimo ciò che dicevamo presso l’altare del Signore: «Introibo ad altare Dei. Salirò all’altare di Dio», diceva improvvisamente raccolto ai piedi dell’altare e noi rispondevamo: «Ad Deum qui laetificat juventutem meam. A Dio che rende lieta la mia giovinezza». Così imparai che è bello incontrare il Signore nella Messa.

Ringrazierò sempre il mio vecchio parroco, perché ci insegnò che quando alzava l’Ostia e il Calice per mostrarla ai fedeli, noi dovevamo suonare il campanello, come segno di gioia e di saluto a Gesù che aveva trasformato quel pane nel Suo Corpo e quel vino nel Suo Sangue e ci raccomandava, mentre suonavamo il campanello, di guardare quell’Ostia e quel Calice che era Gesù.

Ringrazierò sempre la suora che ci fece catechismo: anche lei ci insegnò a contemplare l’Ostia nell’elevazione della Messa e a dirGli: «Mio Signore e mio Dio!», perché quell’Ostia era non più pane, ma Gesù e quel vino non era più vino, ma Gesù. E ci spiegò che avremmo così detto le stesse parole di Tommaso, l’Apostolo, quando vide Gesù risorto. Lui era pieno di entusiasmo e di commozione dicendo quelle parole e anche noi – ci raccomandava la suora – dovevamo essere entusiasti: era Gesù quello che il parroco ci mostrava perché potessimo adorarlo e dirGli che lo desideravamo.

Ringrazierò sempre il mio professore di teologia, per quando volle tradurre l’antico canto Adoro te devote, che mi commuoveva, quando lo sentivo cantare alle Quarantore (che oggi chiamiamo Giornate Eucaristiche) da tutti, con tono dolce dalle donne e forte e baritonale dagli uomini. Il professore tradusse: «Come uno che l’Amore rende pronto, io ti adoro, o Dio». Rimasi fulminato: capii che l’adorazione non è una cosa seria solenne, ma è la più bella forma d’ amore che si possa provare e dire a Gesù. Così da allora ho sempre vissuto le Quarantore come un appuntamento di amore: di Gesù che viene innamorato di me e di ogni uomo e di me, del mio amore per Lui, che voglio testimoniargli e chiedergli di rendermelo sempre più forte e vero.

Per questo ringrazio Carlo Acutis, che diventerà santo tra pochi mesi, perché facendo il Processo per la sua canonizzazione mi sono ritrovato il ragazzo che fui, come lui, che disse: «Il tempo trascorso in preghiera silenziosa davanti all’Eucaristia è come una scuola d’amore: ci si deve donare a Dio per essere utile ai fratelli». E ancora: «Si va diritti in Paradiso, se ci si accosta tutti i giorni all’Eucaristia».

Ringrazio Dio perché questo vivo, questo propongo ogni volta che ho la fortuna di vivere le Quarantore!


Monsignor Ennio Apeciti

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