La Cronaca

Il 4 novembre scorso si è riunito il Consiglio pastorale della nostra Comunità. Tre i punti all’ordine del giorno: come la Comunità pastorale si rapporta alla pastorale nella vita di tutti i giorni; Caritas: analisi della nostra realtà e come può svilupparsi nel futuro prevedendo un’inevitabile riduzione dei volontari. Le scelte e le analisi avranno come filo conduttore le tre parole su cui si ispira il Consiglio Pastorale: unita, piccola e accogliente; Situazione attuale della Caritas sul territorio: parola agli esperti. 

La riunione si è aperta con la recita insieme della preghiera del Giubileo 2025, con l’augurio che la fiamma di carità citata nella preghiera potesse illuminare questo primo lavoro del Consiglio pastorale. Da questa seduta, infatti, il nuovo Consiglio pastorale ha iniziato a lavorare insieme sui temi discussi in Diaconia: sono stati man mano presentati in linea generale gli argomenti, i membri sono stati divisi in tre gruppi e dopo circa trenta minuti di lavoro hanno dovuto restituire all’assemblea plenaria quanto discusso con delle parole chiave. Da quanto ottenuto si sono fissate le basi per lavorare su un progetto comune. Questo metodo di autoformazione ha permesso di trovare un linguaggio comune ai vari partecipanti su idee di fondo, per condividere orientamenti, mettere insieme pensieri comuni ed esprimere eventuali convergenze.


La presentazione della Caritas

La presentazione della Caritas è stata fatta da Andrea Belli, che ha consegnato ai partecipanti una breve sintesi di cosa è la carità e qual è la presenza della Caritas nella nostra Comunità Pastorale. “Senza carità non può esserci vita cristiana, infatti le tre caratteristiche qualificanti della vita della comunità sono appunto la liturgia, la catechesi e la carità – ha spiegato –. La carità viene considerata fra i ministeri fondamentali della Chiesa. Se la carità è quindi una forma di annuncio del Vangelo del singolo, occupa un posto ancora più rilevante nell’azione pastorale. Qualsiasi azione concreta si voglia mettere in atto nei confronti di un territorio deve essere animata da uno spirito missionario e di carità, se partiamo dalla consapevolezza che tutti abbiamo bisogno gli uni degli altri, diventando messaggeri di carità possiamo accorgerci di ciò che gli altri donano a noi, il donare noi stessi nelle nostre azioni quotidiane diventa la prima fonte di carità condivisa. La carità deve diventare il sentimento di ogni cristiano, deve essere la base dello stile di vita condotto. Non si può essere cristiani senza essere caritatevoli. Ogni cristiano deve essere attento ai bisogni di chi ha accanto e deve essere ben disposto a leggere i bisogni”. 

E, ancora: “Per concretizzare le azioni di carità, la Chiesa ha promosso strutture che si facessero carico di forme concrete di intervento specifico per far fronte a bisogni particolari, sia a livello mondiale che a livello nazionale ed infine a livello diocesano come la Caritas Ambrosiana nata nel 1974, per poi raggiungere le singole realtà parrocchiali. La Caritas Italiana è l’organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana che ha il compito di promuovere la testimonianza della carità, cioè l’amore concreto per il prossimo a livello nazionale. Da oltre 50 anni Caritas Italiana accompagna le Caritas diocesane con interventi a supporto della testimonianza di donne e uomini di buona volontà che si attua ‘in forme consone ai tempi e ai bisogni’. La carità infatti non è statica, ma è attenta al cammino della Storia e della società. Nella prospettiva della testimonianza della carità, Caritas Italiana svolge la sua funzione pedagogica, volta allo sviluppo integrale dell’uomo, della giustizia sociale e della pace con particolare attenzione alle persone e alle realtà più vulnerabili. La Caritas Italiana è nata nel 1971, per volontà di Paolo VI, in pieno spirito di rinnovamento proprio del Concilio Vaticano II. Fondamentale il collegamento e confronto con le 217 Caritas diocesane, impegnate sul territorio nell’animazione della comunità ecclesiale e civile e nella promozione di servizi e strumenti pastorali: Centri di ascolto, Osservatori delle povertà e delle risorse, Caritas parrocchiali, Centri di accoglienza, Opere segno. In concreto si occupa di promuovere la carità e tradurla in azioni e opere concrete; di organizzare e coordinare interventi di emergenza in Italia e all’estero; di realizzare studi e ricerche sui bisogni per aiutare a scoprirne le cause; di educare alla pace, alla mondialità, al dialogo, alla cultura dell’accoglienza; promuovere il volontariato e favorire la formazione di operatori pastorali della carità. L’obiettivo finale della Caritas è una realtà in cui non ci sia più bisogno della Caritas. Una realtà in cui la comunità sia testimone dell’amore per il prossimo, in cui tutti si sentano responsabili di tutti, in cui ognuno si prenda cura di sorelle e fratelli alla luce del Vangelo. La traduzione di questa carità in azioni concrete è stata definita quindi a vari livelli e gerarchie, globale, nazionale, diocesano per arrivare a quello parrocchiale”.

La Caritas a livello comunitario deve basare la sua azione su tre verbi: osservare i bisogni del territorio; ascoltare le voci di chi ha bisogno; discernere le azioni concrete da mettere in campo e capire esattamente cosa si è chiamati a fare. 

I centri di ascolto sono la prima struttura delle Caritas parrocchiali, luoghi in cui le persone in difficoltà possono incontrare dei volontari preparati per ascoltarle e accompagnarle nella ricerca di soluzioni ai propri problemi. Per loro natura i centri d’ascolto devono rimanere ancorati al territorio dove vengono ospitati, per essere operatori di un centro d’ascolto bisogna essere appositamente formati. La Caritas non è fatta solo dal centro d’ascolto e bisogna iniziare a ragionare che ogni cristiano deve diventare ‘partecipante’ attivo di carità. Nei prossimi anni la Caritas continuerà esistere, ma si può immaginare che statisticamente il numero dei volontari verrà meno e bisogna in questa logica pensare ad una riorganizzazione delle realtà parrocchiali cercando di ottimizzarne le forze, senza far venire meno l’obiettivo principe di ogni cristiano di proteggere i poveri.

Dopo questa introduzione il Consiglio si è diviso in tre gruppi, ciascuno dei quali ha elaborato le proprie riflessioni attraverso le parole chiave. 


Il gruppo 1: corresponsabilità, quotidianità, rete, bisogni materiali e immateriali

Corresponsabilità: spesso si vede la Caritas come qualcosa a sé stante, mentre deve diventare lo spirito guida di tutti. 

Quotidianità: la carità deve essere fatta ogni giorno osservando i vari bisogni che possono nascere nelle nostre comunità, bisogna essere sensibili a segnalare qualora ce ne sia bisogno creando una rete di aiuti in modo da essere capillare sul territorio, bisogna però ricordarsi di essere discreti perché spesso le persone non vogliono far vedere di aver bisogno di aiuto e si vergognano. La carità deve occuparsi sia di bisogni materiali, ma soprattutto di quelli immateriali in sensibile aumento negli ultimi anni, soprattutto i disagi giovanili, problemi psicologici, la solitudine degli anziani.


Il gruppo 2: operatori formati, catechisti preparati, povertà stile di vita, promozione dell’altro

Segnalata l’importanza di avere operatori formati, perché la carità non è solo quella dei beni materiali, si ha necessità di avere anche catechisti preparati che aiutini a sopperire la povertà nella conoscenza di Gesù. La carità deve diventare uno stile di vita, bisogna creare delle relazioni che permettano la promozione dell’altro. Chi ha un bisogno deve essere portato ad essere in grado di rispondere da solo al proprio bisogno: solo così si sarà raggiunto lo scopo della Caritas.

Spesso non si conoscono tutti i servizi che vengono offerti dalla Caritas. La carità spesso sta anche nelle piccole cose, nei sorrisi, nei piccoli gesti e attenzioni, nella capacità all’ascoltare chi ci sta accanto. Ai centri di ascolto spesso non arrivano tutti i bisogni: per questo bisogna essere parte attiva e cercare di far emergere quelle situazioni sommerse. La carità non deve essere fatta per farsi vedere, ma deve essere un arricchimento reciproco. Bisogna interagire con tutte le istituzioni che ci sono sul territorio.


Il gruppo 3: differenza tra carità e Caritas, evitando l’assistenzialismo

L’incontro si è aperto parlando della differenza tra Carità e Caritas, dove con la parola Carità si intende qualcosa di più grande di Caritas, perché la carità riguarda qualsiasi intervento a livello educativo si faccia, tutto è carità anche occuparsi della gestione dei ragazzi in oratorio è una forma di carità. La carità ha una visione più ampia della Caritas che spesso si vede legata ai bisogni materiali (cibo, vestiti). Aspetto importante della carità è di non farla diventare assistenzialismo, ma deve essere motivata nel cristiano dalla fede, altrimenti diventa filantropia. Un cristiano si occupa di carità perché ama Gesù e si comporta come Gesù nei confronti di chi ha bisogno. La pastorale della carità deve rivolgere un’attenzione ai poveri, deve essere aderente al Vangelo e avere una dimensione creativa, attraverso il centro d’ascolto e un’attenzione a chi non ha vestiti e cibo. Il cristiano deve imparare a leggere anche i bisogni non detti, deve imparare a cogliere i segni. La carità deve essere fatta con intelligenza e bisogna insegnare a chi la riceve a restituire. Aspetto problematico è che spesso richiede molto tempo da investire e chi dovrebbe occuparsene non riesce sempre a dedicare la giusta attenzione. E ci si trova davanti a tantissime situazioni di disagio anche giovanile nei nostri oratori.


Dall’esposizione dei tre gruppi è apparso chiaramente come il Consiglio pastorale, guidato dallo Spirito Santo, si muova di fatto nella stessa direzione: è stato impressionante vedere come persone diverse e che non si conoscano traggano in breve tempo le stesse conclusioni, che possiamo sintetizzare in: 

Carità come

  • Soddisfare bisogni materiali e immateriali/spirituali
  • Imparare a leggere, osservando, i bisogni non detti
  • Carità diversa da assistenzialismo, carità deve essere fatta in maniera “intelligente” mettendo l’individuo in grado di provvedere da solo al bisogno
  • Esistono varie forme di carità tutte ugualmente preziose, dal piccolo al grande gesto in tutti deve risvegliarsi il senso di carità.


Emanuela Tilotta